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Autocoscienza maschile


Novembre 1998. Ricevo e volentieri pubblico:



La prima frase che mi è venuta in mente quando sono arrivato alla fine del libro è stata: "La bruttina stagionata è un romanzo bellissimo, mi è piaciuto da impazzire. pertanto lo faccio". Pensavo di chiudere baracca e burattini, smettere per sempre di scrivere e trasferirmi definitivamente su Alpha Centauri dove i giorni sarebbero passati dando qualche tiro alle canne rollate assolutamente da dio in persona (che come persona mi dà l'idea di essere abbastanza fuori), mentre lui/lei/it avrebbe continuato a ribadirmi il seguente concetto: "Tu sei fatto e sputato a mio figlio prima che iniziasse a farsi tutte quelle pippe sulla Redenzione End Company". Ma poi, in un lampo di subitanea lucidità, ho arguito che Alpha Centauri è galatticamente troppo distante da mia moglie e da nostra figlia, che saranno almeno dieci anni che non dò tiri ad una canna e che la più probabile personalizzazione di dio è quella di un perenne neonato che piange perché gli hanno portato via il ciuccio. Così ho deciso che avrei scritto ancora e ho iniziato da: "La prima frase che mi è venuta in mente quando sono arrivato alla fine.".

Tralascerei, perché troppo evidenti e pertanto personalmente noiosetti da sviscerare, nell'ordine: il linguaggio e la forma (sapientemente adeguati al contenuto, non solo del libro, ma al Contenuto/Contenente Mondo fine novecento: sapientemente, ma non per questo forzati da un punto di vista letterario, ed adeguati, ma non venuti dopo, o prima, o durante, bensì insieme, complementariamente - come dovrebbe sempre essere); il contenuto (sapientemente adeguato a linguaggio e forma, non solo del libro, ma al Contenuto/Contenente del bla e bla e bla); Marilina (personaggio stupendo, ma di questo aggettivo e dei suoi derivati ne parlerò in seguito); l'intreccio strutturale: La bruttina stagionata si fa leggere tutto d'un fiato perché, oltre al suo valore di opera in quanto tale, scodella una trama narrativa strutturata ineccepibilmente che te lo fa bere in 1+1=0 (a proposito di calcolo binario e sue umanistiche conseguenze).

L'affermazione con cui vorrei proseguire ora, mi si è consapevolizzata nel cervello a metà del libro. Di primo acchito farà inorridire e perciò sarebbe carino aspettare i tiri seguenti prima di giudicare: "Cazzo, questa qui scrive come un uomo". Prima di tutto chiedo scusa a Carmen per averla definita mentalmente "questa qui", ma a volte si vorrebbe sorridere e invece viene fuori solo una smorfia contratta, stretta parente dei tumulti ormonali e viscerali quando l'emozione si mette ad avere un corpo. Quindi aggiungo che l'affermazione precedente non significa né: "Scrive troppo bene per essere una donna", né: "Una donna che scrive così dev'essere lesbica" (con il nauseante gongolamento maschile conseguente, il falso moralismo che maschera un'eccitazione sessuale chissà perché considerata riprovevole, e vai così con i luoghi comuni trascinati avanti tristemente da noi eterosessuali).

Il fatto è che leggendo La bruttina stagionata mi è tornata in mente una frase di Simone de Beauvoir: "Ciò che manca essenzialmente alla donna d'oggi per fare delle grandi cose è l'oblio di se stessa. Ma per dimenticarsi bisogna prima essere sicuri di essersi definitivamente trovati". Secondo me Carmen Covito ha fatto un ulteriore passo: si è trovata, si è dimenticata, e adesso c'è. Una donna che scrive: "E dunque non faceva l'amore per amore: era per meraviglia" oppure "E, parliamoci chiaro, come fa una donna a trovarsi differente da un uomo, se gli uni e le altre sono esseri alieni che il destino, il caos, l'evoluzione della specie o chissà mai che cazzo di Dio ha spinto a andarsi contro nella stessa barca?" od ancora ""Desidera?". "Ultimamente poco o niente, grazie"", (tanto per citare i primi tre esempi che ho rintracciato), ha saputo trovare consapevolmente in sé quelle parti maschili positive che sono presenti in ogni donna, ha saputo dimenticare che sono "culturalmente" considerate maschili, e infine si è semplicemente presentata così com'è. Noi uomini, invece, quando andiamo a cercare le parti femminili positive che comunque esistono in noi, lo facciamo quasi sempre per necessità, non riusciamo a dimenticarne la valenza, e ci presentiamo tontoloni come al solito. Per questo io, convinto sostenitore dell'assoluta parità tra maschi e femmine, sono altrettanto convinto che le donne/uomo, oggi, siano nettamente superiori a noi uomini/donna (sulle donne/donne e sugli uomini/uomini stenderei un pietoso velo, se non fosse per il lato prettamente sessuale: ma qui il discorso si farebbe davvero troppo lungo). In sintesi: La bruttina stagionata è scritto con sincerità ironica, brusca affettuosità, passione equilibrata. E con un'intelligenza lucida e immaginosa che è senz'altro maschile e femminile ad un tempo.

Da qui vorrei partire per un'altra constatazione: il libro è eccitante a 360 gradi. Leggendolo mi sono costantemente sentito vicino a quella sensazione che Böll spiega così: "Essa subì quello stato d'animo che nei dizionari teologici si potrebbe definire attuazione assoluta dell'essere. E che, degradato in maniera imbarazzante da grossolani erotologi e da dogmatici della sessualteologia, vien definito orgasmo" (H.BÖLL, Foto di gruppo con signora, tr. di I.A.Chiusano, Torino, Einaudi 1972). La citazione non è casuale: al di là di tutti i riferimenti che vanno oltre al fatto concreto, parla pur sempre di un orgasmo conseguente ad un'eccitazione tutta femminile, quella che sa coniugare l'essere mente con l'essere corpo. Ed è questa la forma di libido presente nel romanzo: sia come effetto che piacevolmente subisce il lettore, sia per come La bruttina stagionata è stato scritto. Si gode intellettualmente per lo stupore che deriva dalle tante riflessioni della protagonista e ci si eccita fisicamente per le scene esplicite di sesso, eccitazione a cui nessun testo pornografico potrà mai aspirare perché nelle descrizioni sarà sempre privo della genialità, della tecnica e del sentimento di cui sono permeate invece le pagine del romanzo. Detto così, però, sembrerebbe che un godere venisse dopo l'altro: da una parte quello mentale, dall'altro quello del corpo. Non è vero.

Come per forma/linguaggio e contenuto, i due piaceri procedono costantemente insieme, anche perché non vi è un pensiero dell'intelletto che non sia anch'esso carne e non vi è un'azione sessuale che non sia nello stesso tempo impulso culturale. Due soli esempi: "Nessuna delle storie che le vennero in mente stava in piedi, come del resto lei: tanto più che all'esterno doveva trapelare qualche scheggia almeno della radiosità che si sentiva sfolgorare fuori da ogni minimo gesto, come fosse stata una perdita di luce dissanguante" e " 'Uhuu, sì, così, brava, sìì, tutto intorno...'. Si dovette arrestare un momento, perché le era saltata agli occhi la possibile fotografia di un cono gelato alla fragola che avrebbe fatto grande sensazione sulla sovraccoperta del suo libro per consumatori golosi: scaricato sul dorso della mano l'eccesso di ironia, ricominciò seriamente a leccarglielo da cima a fondo e dal fondo alla cima, e poi scese più giù, sprofondando alla cieca in un gorgo di odore e increspature". La bruttina stagionata è stato per me un continuo provare quella sensazione che apre infiniti orizzonti mentali e che, esplicitamente parlando, te lo fa venire duro.

Tale conseguenza ultima, di chiara derivazione testosteronica, mi porta al terzo aspetto che vorrei trattare. Marilina è splendida, come già avevo scritto precedentemente, Marilina è bellissima: il problema è che, a volte, Marilina è bellissima anche fisicamente. Do per scontato che la bellezza di una persona non abbia niente a che fare con la sua prestanza fisica, questo è lampante, ma quando si legge un'opera di narrativa non si può fare a meno di immaginare come siano fatti i personaggi. E Marilina io la vedevo fisicamente bellissima. Perciò vi era un continuo scontro tra la riproduzione virtuale che io creavo e le descrizioni del corpo/volto della protagonista, tra il mio volere a tutti i costi che Marilina mi apparisse come una top-model stupefacente nella sua intelligenza e l'inevitabile accettazione che lei fosse un'incantevole bruttina stagionata. Da una parte posso incolpare gli squallidissimi desideri di ogni maschio (la principessa rosa dei nostri sogni dev'essere geniale e fuori di ogni dubbio un tronco di gnocca da crollo mascellare repentino), ma qui vorrei tralasciare questo imbarazzante aspetto per concentrarmi più sulla dicotomia letteraria che sottende questo vedere/sentire/sapere del lettore.

Molti anni fa, durante un seminario, passai un pomeriggio intero a litigare con un paio di docenti universitari ed uno stuolo di studenti sul significato di una poesia di cui in questo momento mi sfugge sia il titolo che l'autore (la mia cultura diventa ogni giorno che passa una lunga fila di malinconici omissis generati dall'oblio). I versi parlavano di ciò che avrebbe provato Penelope se Ulisse non fosse mai tornato ad Itaca. I miei interlocutori disquisivano sui sentimenti di Penelope con grande classe ed acuta saggezza, ma tralasciando ciò che io consideravo il fondamento sostanziale: in realtà Ulisse era tornato. Il fascino di quella poesia stava proprio nel fatto che tutto il dolore e la gioia di una Penelope che non aveva mai visto tornare il proprio uomo non potevano non essere filtrati da un dato culturalmente assodato, cioè che Penelope aveva provato tutta una serie di sentimenti diversi nel momento stesso in cui aveva riabbracciato Ulisse. L'immaginaria bellezza di Marilina ha riprodotto questo tipo di fascino letterario: conoscere, per cultura o per semplice constatazione, una realtà che fa deliziosamente a pugni con ciò che si prova, con ciò che si costruisce leggendo, con ciò che non è in realtà eppure che è così reale, mentre ci si abbuffa di parole su parole, che all'improvviso diventa più vero della comune verità (un altro esempio di meravigliosa perversione letteraria/intellettuale/ontologica potrebbe essere La svastica sul sole di Philip K. Dick).

Ed è questo un discorso che poi, portato alle estreme conseguenze, va a coinvolgere tutto ciò che è un'opera d'arte di qualsiasi genere: quel continuo bordo tra l'essere vero ed essere immaginario che non fa da bordo a niente, quell'orizzonte circolare tra raffigurare la realtà e realizzare la raffigurazione dove il confine è soltanto il sorpassare ogni volta il confine stesso. Marilina resta una stupenda bruttina stagionata che è stupenda per ciò che è in sé, che è eccitantemente bella nel suo non essere fisicamente bella, ma in questa consapevolezza a volte il suo personaggio è costretto ad apparire come una fighissima ventenne da favola: appunto per la forza narrativa dell'autrice che, suo malgrado, stravolge la realtà della finzione (e forse perché, parafrasando Proust, io sono un uomo che pecca di eccessiva immaginazione).

Così, con la citazione iniziale del romanzo, siamo arrivati alla fine (del tutto convenzionale perché si potrebbe disquisire piacevolmente per giorni e giorni). Vorrei ringraziare Carmen Covito per aver scritto La bruttina stagionata e porle ora, in modo diretto, una domanda del tutto faziosa: "Carmen, che fine ha fatto quell'individuo che si incontra all'inizio del romanzo e che scambia Marilina per una prostituta? Da dove veniva, aveva famiglia, quali erano i suoi problemi esistenziali? E dopo il rifiuto è tornato a casa oppure è riuscito a soddisfare il proprio desiderio con una professionista esentasse? Perché sai, io sono molto sensibile alle brutte figure ed alle sfighe che quotidianamente i maschi come me si fabbricano, intestarditi a voler restare nel loro piccolo mondo chiuso di qualche aperitivo con pizza: i Bellini da Quattro Stagioni. Ad abundantiam, Carmen, probabilmente in tutti i sensi".

Roberto Tossani



Roberto Tossani è nato nel 1960, vive a Valdobbiadene e nel 1998 aveva pubblicato solo alcuni racconti sulla rivista Maltese Narrazioni.

http://robertotossani.splinder.com/


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